Il mondo di Apo in musica. Disco d’esordio del cantautore calabrese
Disco d’esordio, disponibile online, per il solista Apo, all’anagrafe Pierluigi Grottola. Il progetto nasce dall’urgenza espressiva del cantautore, originario di Catanzaro, che, dopo assidui ascolti di musica rock, lo studio dell’armonia jazz e la frequentazione delle tradizioni etniche, ha plasmato il mondo chiamato Apo. Intitolato semplicemente col nome dell’autore, il disco è una presentazione di chi lo ha inciso e della varietà di percorsi che hanno dato spinta di crescita all’artista. Il materiale contenuto è eterogeneo e abbraccia diversi registri stilistici e generi musicali. Ogni brano è associato a un’immagine, come se si trattasse della copertina di un 45 giri.
Apo è capace, così, di guidare nei luoghi del magico e dell’esotico, presenti in Ti porterò lì, dove l’aspirazione a un altrove si colloca in opposizione e rifiuto al mondo dato, razionale e stringente. Accompagna poi nelle atmosfere più romantiche di Amore in fiore, ballata dalle sonorità medioevali e barocche contaminate dalla presenza di elementi flamenchi, in cui è evidente il debito verso l’universo poetico-musicale di Fabrizio De Andrè. Lo stacco è notevole nello scivolare sui toni scanzonati di Stronza, che sotto la propria leggerezza e irriverenza celano un messaggio sociale che non sfuggirà a orecchie attente. Qui si avvertono echi di Paolo Conte e Fred Buscaglione. Le atmosfere retrò del brano sono esaltate da un video a fumetti, in cui tavole in bianco e nero si intermezzano a didascalie che richiamano il cinema muto. Sotto coperta impone la propria sensualità, bussando alle orecchie dell’ascoltatore con energica tempesta di ritmo e melodie lusingatrici, a cavallo tra rock progressivo e sonorità classico-sinfoniche, impreziosite da venature etniche.
Un percorso alchemico verso la realizzazione personale è metaforizzato da La fune nel pozzo, che funge un po’ da manifesto della poetica del disco, con un parziale richiamo alle sonorità di David Sylvian. Ancora scontro tra desiderio individuale e vincoli sociali, mondo interiore ed esteriore in Iridescenze, ballata rock tra suoni etno-acustici e synth, con il suo incipit cupo che procede mano mano a schiarirsi, trovando sbocco nel climax luminoso che si snoda su un ritmo di tango, sempre opportunamente rivisitato. Il progetto si conclude sulle note festose di Kupargeltmatmonitinkentain, in cui le sonorità klezmer/balcaniche si contaminano con quelle dello swing e dello ska, mentre il testo non-senso dà l’effetto di mettere in discussione e smantellare il discorso poetico portato avanti finora, regredendo al preverbale, alla farneticazione, a termine di un percorso liberatorio quasi volto a confutare se stesso.
Un mondo complesso, ricco di elementi eclettici, che a un primo ascolto possono sembrare scomposti, ma trovano il loro intreccio in un filo invisibile, un percorso auto-rigenerativo, una cura dalla malinconia che sfocia nell’allegro ritrovamento della forma artistica finale.
Redazione