Il grande incendio di Albidona. Una storia di “Ppicciafuoco” vendicativi
EDITORIALE – Ora, che finalmente le grandi vampate sono state quasi domate, si può vedere tutto il raccapricciante deserto provocato dal fuoco, certamente doloso: è stato letteralmente distrutto un immenso patrimonio pubblico e privato. L’ignoto e insensato nemico della Natura, dove vive come un solitario e vendicativo animale, ha aperto l’accendino delle sigarette nella isolata vallata tra le contrade Verte, Promenzano e Alvani. Ha scelto di compiere l’infame gesto nel tardo pomeriggio del 4 settembre. A quell’ora, la campagna di Albidona è deserta; solo i cinghiali e le volpi escono dal bosco e vanno a cercare pere e fichi attorno alle vecchie masserie. Il fuoco si è subito propagato per tutte le sterpaglie circostanti; ha bruciato i pini abbarbicati nella “timpa Valle addònia”, poi è passato per Promenzano, Recolla, Sacàmolo, Urzoli, Cacasòdo, sfiorando la serra del Manganile, ai confini di Castroregio e Amendolara.
Per le due “timpe” di Piede della scala e Valle addònia passa il famoso flish di Albidona: la nostra terra ha pure antiche radici storiche, geografiche, geologiche e culturali: ma che se ne fregano i “ppicciafuochi” ? Siamo tutti ingrati verso Fratello bosco e Madre terra: fanno parte del nostro “sustentamento”; lo diceva anche san Francesco. Nessun soccorso in quella maledetta giornata del 4. Matteo Gatto “Predicatore”, uno dei pochi giovani allevatori ha cercato, con grandi sacrifici, di non abbandonare la terra paterna. In quella brutta nottata ha preso il cellulare e ha chiesto a tutti soccorso. Si dice che qualcuno della Provincia “si è sentito pure seccato”.
Il fuoco era arrivato sotto l’aia, ha divorato alcuni filari della piantagione di ciliegie e stava per compiere una strage. In quella masseria vivono i genitori anziani di Matteo e vi sono recintati anche vacche e pecore. Ci dice, ormai stanco e deluso: “Mi permettete di ringraziarli tramite il vostro giornale? Ci hanno salvato i tre bravi operai del Consorzio di bonifica (Michele Capalbo, Antonio Pagliuso e Alfonso Fusaro), con il mezzo della squadra Protezione civile di Villapiana, i quali sebbene stanchissimi, perché avevano tratto in salvo altri due coniugi contadini della contrada Recolla, si sono buttati nel fuoco per spegnere le grandi fiammate. In contrada Urzoli ci sono altri contadini che hanno rischiato forte”.
Ma che succede in Albidona? Gli “Anonimi” della disperazione sociale hanno messo le catene al grande portone del Palazzo municipale; altri “ degni colleghi” hanno tentato di compiere una strage nelle casa del sindaco, e poi, forse altri “ignoti” se la sono presa con i boschi, distruggendo la pineta privata del “Mancone di San Pietro”, il ciglio della Forestacaccia, la ginestraia vicino a Piano Senise. “Albidona, terra bruciata”, dice un anziano contadino. Il fuoco fa ancora paura: negli anni Quaranta, due ragazzini di Amendolara, per salvare i buoi che pascolavano nel bosco di Straface, sono rimasti carbonizzati in un furioso incendio.
Che c’è da aggiungere? I famigerati “Ppicciafuoco” sono usciti di testa e ci auguriamo che, dopo tanta inspiegabile malvagità, si rendano conto del loro stupido, assurdo operato. Se ce l’hanno con qualcuno, li invitiamo a lottare a viso aperto. Ma anche noi, che gridiamo subito al “piromane criminale”, continuiamo a fare inutile retorica: non si è mai capita la presenza del bosco, vicino all’uomo. Abbiamo visto il bosco sempre come fonte di paura e di sfruttamento: i nostri colonizzatori Romani tagliavano i grandi pini della Sila, per costruire navi da guerra e le sontuose ville dei veterani militari. Anche Cicerone aveva la sua bella villa a Turii di Sibari. Agli inizi del ‘900, soltanto lo scrittore scozzese Norman Douglas ci ricorda il “dissennato taglio” del Pollino. Ancora retorica campanilistica: gli amanti della storia del proprio piccolo paese ci ricordano che Epeo, il “mitico” costruttore del cavallo di Troia, abbia ricavato pure delle ottime tavole nel bosco Cernostaso di Francavilla. Hanno bruciato a Cerchiara e nella Pineta di Villapiana, Insomma, anche i nostri pochi “politici” e “governatori” dell’Alto Jonio, bene abbronzati e ancora impappinati dalle “agostane feste” 2015, si vergognano di dire che oltre alle continue spoliazioni di servizi (ospedale, ecc. ecc.), siamo ormai “spogliati” anche dell’unico bene naturale che avevamo: il bosco. Cari signori: ci vogliono PREVENZIONE (pulitura dei boschi) e anche VIGILANZA: una volta, le Guardie forestali controllavano anche le capre che, affamate, brucavano qualche frasca di leccio. Oggi, nel bosco non ci sono più i lupi, gli orsi e altri strani mostri spaventa-bambini, ma solo i “ppicciafuòchi” e i “taglia cerri”. Speriamo che i “tifosi” di Matteo Renzi e anche il “compagno” Maruzzo Oliverio, governatore della Calabria “incendiaria”, siano informati del brutto destino dei boschi d’Italia.
Giuseppe Rizzo