Le donne nel giornalismo, assenti ingiustificate

Donna. Una parola di grande fascino che nasconde un mondo e testimonia una difficoltà continua. Difficoltà ad affermarsi, perché, in passato, tutto era più difficile se si era donne, a far credere che non si era inferiori solo perché appartenenti al gentil sesso. Ora, forse, non è più così, ma quante mortificazioni ci racconta la storia delle donne! Assenti nel mondo, nella società, perché non avevano neanche il diritto di voto, non avevano la libertà di gestire il proprio futuro, se non quello della casa e dei figli. Assenti nel mondo del lavoro. Assenti nelle decisioni. “Il corpo è mio e me lo gestisco io”. Con questo slogan le femministe hanno accompagnato scioperi, manifestazioni e battaglie.
Donne e casa. Donne e figli. Ma mai donne e comunicazione. Erano assenti in tutto. Ovviamente anche nel giornalismo. Il contributo femminile dato ai giornali, nel corso della storia, è ignorato. Solo a partire dall’800 viene riconosciuta una stampa politica, legata all’attività pubblicistica nell’ambito degli studi sull’emancipazione femminile. In realtà, è errato credere che le donne abbiano scritto solo temi di donna, per le donne. Non parlavano solo di moda, ma anche di vita sociale, di costume, di attualità, per le famiglie. Esisteva una stampa “femminista” a difesa dei diritti delle donne e della loro emancipazione, ma non solo questa e, soprattutto, anche questa era una forma di giornalismo. Perché ignorarla? La stampa cosiddetta “femminile” inizia con il “Journal des Dames”, a cui si ispireranno gli italiani per fare “Il giornale delle nuove mode di Francia e d’Inghilterra” del 1786 e il “Corriere delle Dame” del 1804. Le donne hanno scritto molto anche nei giornali rivolti a tutti i lettori, spesso sotto pseudonimo. Varrebbe la pena di considerare con più attenzione, dunque, il mondo della scrittura e del giornalismo fatto dalle donne.
E’ difficile ricostruire la storia dei giornali e la biografia delle giornaliste a causa della discontinuità con cui le donne hanno potuto scrivere, costituire e dirigere giornali. Almeno fino agli anni ’50, molto spesso, le loro erano collaborazioni occasionali. Ma, nonostante la difficoltà a intraprendere l’attività giornalistica, le donne ci sono riuscite anche in Italia, sin dalla rivoluzione francese, in un intreccio stretto con il lavoro delle educatrici, delle scrittrici, delle sindacaliste e, dal secondo dopoguerra, delle donne che hanno rivestito ruoli politici.
“Scrivere – dice Laura Pisano, autrice di un libro dedicato alla storia del giornalismo femminile – è stato per le donne uno dei pochi mezzi concessi per far sentire la propria voce: ma fino agli anni ’60, quando la presenza femminile nel giornalismo diventa cospicua, poche sono riuscite a farne un mestiere. La Serao, che fu anche fondatrice e direttrice di giornali, la Grosson Baronchelli, “Donna Paola”, brillante giornalista del primo Novecento, Alba de Cespedes che nel 1944 fu anche collaboratrice di radio Bari, poi di varie riviste femminili e fondatrice della rivista culturale “Mercurio” che costituì indubbiamente una prova importante per alcune valorose scrittrici e giornaliste nell’Italia del dopoguerra: Irene Brin, Camilla Cederna».
Attualmente, in una società sempre più emancipata e tecnologica, la situazione sembra essere cambiata. Sembra, appunto. Il mondo del lavoro ha davvero aperto totalmente le porte alle donne o l’ambito professionale continua ad essere, in fondo, maschilista? Certo, i passi in avanti sono evidenti. Siamo nel 2014 del resto. La tv, i nuovi mezzi di comunicazione, l’informazione sul web, hanno aiutato le donne in questa battaglia contro l’assenza e l’anonimato. Tante donne scrivono, collaborano con testate giornalistiche, le vediamo condurre telegiornali e programmi d’informazione, potendo fare di questo un mestiere. Sono giornaliste senza pregiudizi e pseudonimi, ma solo grazie ad anni di studio e sacrifici. Perché è vero: più la salita è ripida e più la soddisfazione aumenta.
Federica Grisolia