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“Ma io volevo il mare. Per aspera ad astra”. Un viaggio dantesco tra gli inferni del nostro tempo

“Ma io volevo il mare. Per aspera ad astra”. Un viaggio dantesco tra gli inferni del nostro tempo
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di Federica Grisolia

“Ma io volevo il mare” di Maria Annunziata è un’opera che mescola poesia, filosofia e avventura, con l’intento di offrire al lettore non solo una storia, ma anche uno specchio in cui riconoscersi e intravedere una via di rinascita personale, un cammino “per aspera ad astra”. La silloge – pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore e disponibile anche nella versione e-book – è un viaggio di purificazione e ricerca in versi sciolti, che prende spunto da Dante, ma si svolge quasi interamente nel presente. Il poeta argentino Borges funge da Virgilio moderno e accompagna il signor P, attraverso “l’inferno dei viventi”: dalla selva dell’invidia alla trappola digitale, fino all’ipocrisia del potere, alle paure interiori e ai moderni ignavi. «Il titolo – spiega Suor Maria Annunziata, consacrata alle Povere Figlie della Visitazione, nata a Napoli ma che vive a Grottaferrata (Roma) – si capisce solo alla fine della storia, quando il protagonista, dopo tanto peregrinare, rivede il mare. È in quel momento che P giunge a una consapevolezza: il suo disagio iniziale, quel suo cercare le stelle fino a perdersi nel cosmo, in realtà era solo la ricerca di qualcosa che gliele avvicinasse. Il mare, infatti, gliele restituisce riflesse nelle sue acque, rendendole più vicine, raggiungibili, su acque navigabili».

Questa consapevolezza Maria Annunziata la ritrova nella scrittura: un rifugio per poter guardare la realtà con occhi diversi, al di là degli ostacoli e di qualsiasi impedimento, e dove trovare riparo nei momenti di difficoltà. L’opera, infatti, vede la luce nel periodo del Covid, quando venivano meno le certezze e la solitudine sembrava prendere il sopravvento. Il sottotitolo “Per aspera ad astra” non fa che rafforzare l’idea secondo cui, nonostante gli ostacoli e le difficoltà, l’aspirazione al sublime (il mare, le stelle) resta viva e realizzabile. «La poesia – afferma la poetessa, laureata in Sociologia con un dottorato in Teologia – come una bussola può aiutarci a decifrare la realtà, come compagna di vita può darci buoni consigli. Nel caso in cui il groviglio interiore è una matassa inesplicabile, può aiutarci a sopravvivere: si offre a noi quale zattera di salvataggio aiutandoci a rimanere a galla. Le correnti ci trascinano, la tempesta imperversa ma lei, testarda, ci sostiene».

I versi trascinano il lettore nella conoscenza di sé stessi, ossia un continuo peregrinare tra vette conquistate e punti di non ritorno, dove più si sale in alto e più si riesce ad avere una visione panoramica, anche quello imperscrutabile dell’aldilà. Nel viaggio del signor P la meta è tangibile: il mare. «È un arrivo che induce a ripartire più consapevoli verso quelle stelle che appaiono riflesse nel mare e quindi più raggiungibili. E’ un simbolo di libertà e infinito». La scrittura di Maria Annunziata – catartica, empatica e liberatoria – rappresenta una guida alla riscoperta di sé e alla rinascita, nonché la possibilità di contrastare le patologie della società contemporanea con i valori etici e spirituali, profondi e intramontabili.

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