La leggenda degli animali che parlano la notte di Natale
Dall’archivio di Paese24
E’ arrivato Natale: i pastori del Pollino e i contadini dei nostri paesi dell’Alto Jonio sanno raccontare fatti straordinari. Ricordano storie e leggende che si tramandano da generazione in generazione. Durante le lunghe serate d’inverno, Zi’ Giovanni, sempre seduto accanto al suo grande fuoco, era attorniato dai vicini di casa; noi bambini lo ascoltavamo come un saggio patriarca: con la barbetta bianca che si radeva soltanto nella domenica, e con una pipa che si costruiva con le proprie mani, usando il legno dell’erica, era attentamente ascoltato soprattutto nelle vicinanze di Natale. Ci teneva a raccontare sempre lo stesso fatto, e diceva che era “successo davvero”, proprio nella masseria di suo nonno:
«La sera della vigilia di Natale, anche il bestiame doveva mangiare bene, come fanno i cristiani che mangiano le nove cose. Ai cani, si dava un pò di latte e il pezzo di pane più grosso, alle capre e alle pecore lasciavamo grosse fasce di frasca di leccio; alle galline buttavamo grano e orzo; ai porci, ghiande e beverone di crusca; all’asino, alla mula e alla giumenta, una bella cioffa di biada; ai buoi mettevamo più paglia, fave bollite e una fascetta di fieno. Poi, appena chiuse le porte della stalla e dell’ovile, ci avviavamo verso il paese, dove le nostre donne avevano già preparato i nove piatti di Natale!
Non potevamo restare a lungo vicino alle stalle, perché i buoi e gli altri animali, dopo essersi saziati col ricco cibo, incominciavano a parlare, come noi… cristiani ! Ma nessuno li può ascoltare, perché se la potrebbe passare male. Una volta, un nostro giovane bovaro che si chiamava Francesco, volle fare il guappo, e invece di venire a mangiare in paese, restò nella masseria e invece di andare ad ascoltare la messa di mezzanotte andò a spiare vicino ai buoi ! La mucca più grande, che si chiamava Rossanella, aprì la bocca e disse agli altri buoi: consumate tutto ciò che è rimasto nella mangiatoia, perché domani mattina saremo aggiogati al carro per portare al cimitero il nostro guardiano Francesco. La mattina dopo, il padrone della masseria tornò in campagna e vide che il suo bovaro Francesco era morto davvero: era disteso proprio dinanzi alla porta della stalla dei buoi».
Giuseppe Rizzo
a me sembra il mondo delle favole ormai e più che mai dovrebbe essere quello della mia haimè età e quindi non sono incredulo, la favola mi hanno sempre affascinato. Bisognerebbe insegnarlo alle nuove generazioni. Della culltura contadina seguo un ottimo programma educativo quale è quello di geo.
Bella storia. Io sapevo che gli animali parlano la notte di Ognissanti, ma non sapevo che fosse pericoloso provare a sentirli. Però come fece il padrone della masseria a sapere che il bovaro era morto per aver sentito parlare la mucca? Poteva essere pure morto di freddo…