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Alessandria del Carretto. Sulle tracce di un antico monastero basiliano

Alessandria del Carretto. Sulle tracce di un antico monastero basiliano
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Giovedì 15 ottobre 2020. Stamattina ci siamo azzardati a partire, nonostante le incerte previsioni del tempo. Avevamo prefissato la camminata che volevamo fare prima dell’inverno: la cappella di “Sant’Elia”, nel territorio di Alessandria del Carretto. Il sole è già comparso sulle 77 curve che portano da Trebisacce d Albidona. Ci sono altre 38, per raggiungere Alessandria. Qualcuno diceva che le avrebbe ridotte a 50 ! Basterebbe, almeno, controllare le frane.

A “Piano Senise” prendiamo la pista per la “Recolla di Sèque”; passiamo per il rudere di una vecchia masseria, dove due disperati fratelli contadini si litigarono sull’aia e uno di essi muore a colpi d’accetta. Ma questo triste ricordo viene disperso nel silenzio e nel meraviglioso paesaggio della foresta di Castroregio. Dopo pochi tornanti, ci fermiamo davanti alla cappella della “Madonna del bosco”. “Fu costruita subito dopo la seconda guerra mondiale, da don Battista Mollo che ne fu ideatore e promotore”, ci ricorda il prof. Basile. I cerri e le fàrnie stanno perdendo le foglie, ma sono sempre maestosi. Qualcuno è morto da tempo, ma il suo scheletro bianco somiglia a un monumento di marmo: sono altri “Patriarchi” che dobbiamo far conoscere. La gente di Castroregio li ritiene come “cari antenati”. Qui, il 18 agosto si celebra la festa della “Madonna del bosco”; un gruppo di donne canta le belle canzoni in lingua arbereshe. Questa è anche la festa degli emigranti, che vogliono pranzare con i parenti e gli amici, al fresco delle fàrnie. Ci sono già i cercatori di funghi, ma noi preferiamo rintracciare le piante di corniòlo, le cui drupe rosso-cupo sono già mature: pochi conoscono questa bellissima frutta di bosco. Ci sono anche le mele selvatiche (le pume’agrieste): i contadini le facevano maturare nella paglia. Vorremmo passeggiare lungo il sentiero alberato; vediamo i grandi massi megalitici, anneriti dal tempo, e ricordiamo il compianto prof. Giuseppe Roma, che ne ha parlato in una rivista scientifica.

Procediamo verso sinistra, guardando  “Sant’Elia”. La natura è sempre incantevole, ma nel bosco non si sentono più le campane delle capre e delle mucche; le masserie sono crollate e abbandonate, i terreni sono quasi tutti incolti. Ma alcuni pezzi sono ancora maggesati e si vede pure qualche trattore rosso che fa l’aratura per la semina. Incontriamo anche un giovane pastore di Albidona che fa la transumanza. Le sue capre stanno figliando; teme il freddo e la neve, e dovrà tornare in marina. Verso le ore 9, 30 arriviamo in contrada  “Sant’Elia”, dov’era la ricca masseria di Paolo Napoli (Violino). Quanta gente ha lavorato in queste terre!  Ci vorrebbe una grande lapide per ricordare tutti i massari, le donne e i bambini che hanno speso la vita in questi luoghi che sono ancora belli.  

Di fronte alle rovine di casa “Violino”, dove sono alte querce e anche alberi da frutta, sono ancora in piedi le mura di una cappella, che faceva parte di un antico monastero basiliano. D. Matteo Cerasoli in “La badia di Cava e i monasteri greci della Calabria superiore:  S. Maria Kyr – Zosimo o Cersosimo, Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, a. IX, fasc. I, Roma, 1939”. Cerasoli parla di un “carta” datata 1193, 1192;  invece, secondo il prof.  Jean Marie Martin del C.N.R.S.- École Française de Rome, che ne attesta anche l’autenticità, dove  è riportata la donazione da parte di alcuni fedeli, di terreni  al “monastero di Sant’Elia di Cortomeno”. Ci sono altri autori: Bubbico, Caputo, Maurano e De Caro, che hanno scritto sui monasteri italo-greci e benedettini in Basilicata e dell’Ordine cavense nei secoli XI e XII.

A Sant’Elia, siamo stati anche con il prof. Roma. Altre tracce di basilianesimo sono in Albidona (Càfaro e Piano Senise) e Carbone (Pz), certamente collegate con il monastero di Cersosimo. Per Santa Maria del Càfaro di Albidona vedi  “G. Rizzo, Calabria Letteraria, Anno XXV, nn.7-8-9 /1977 – pagine  8-10). La cappella è rimasta aperta al culto, fino ai primi decenni del secolo scorso. Per i contadini della zona, vi si celebrava periodicamente anche la santa messa. Sulle pareti interne sono rimasti  anche alcuni resti di affreschi, oggi ben visibili. Ultimamente, questi locali sono stati adibiti anche alla scuola elementare di campagna. C’erano circa quaranta famiglie. Dopo, stalla per i buoi, e oggi, quasi in completa rovina. Si potrebbe almeno salvare la vecchia cappella.

La pioggia ci sorprende proprio durante la nostra visita (naturalistica e culturale), ma torneremo in questo luogo, che non deve restare sconosciuto. Il colle di  “Sant’Elia” che domina l’alta valle del Ferro è ancora bello: l’immensa foresta che si trova tra Castroregio, Farneta, Alessandria e Oriolo, è ancora salva, la fiumara Ferro scorre verso la costa jonica. C’è ancora qualche contadino che vuole restare in questa contrada; si produce anche del buon vino. Sant’Elia potrebbe diventare anche un luogo storico, turistico e soprattutto una pregiata riserva ambientale: giriamo il messaggio anche ai “politici” e alle amministrazioni comunali del comprensorio. Ci ha risposto già il sindaco di Alessandria, Domenico Vuodo: “Grazie professore per le belle parole con cui ha descritto la Sant’Elia. La chiesa e il terreno intorno è di proprietà privata, ma insieme ad altre zone di Alessandria abbiamo avuto gentilmente la concessione gratuita per farci delle ricognizioni archeologiche con l’università di Cosenza grazie ad un finanziamento dell ente Parco Nazionale del Pollino. Ricerche che sono state posticipate da questo ottobre ad aprile causa Covid.”

Giuseppe Rizzo

 

 

 

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